Teatro

Mariano Rigillo, un leone del teatro al sole di Positano

Mariano Rigillo, un leone del teatro al sole di Positano

La figura alta e la classe di Mariano Rigillo sono inconfondibilmente sempre quelle di colui che resta il primo ed unico vero interprete di Masaniello, quello che, a metà anni ’70 rappresentò un vero evento della scena italiana. “Eravamo nel 1973 – ricorda- l’anno in cui a Napoli ci fu l'epidemia di colera. A Roma, con Elvio Porta, Roberto De Simone e Bruno Garofalo ci chiedevamo cosa potevamo fare per scuotere Napoli da questo momento così tragico, e, per uno strano disegno del destino (io, ad esempio, stavo leggendo la “Storia di Napoli” del compianto Antonio Ghirelli) ci trovammo tutti in qualche modo interessati alla figura del capopopolo amalfitano, e così, un anno dopo debuttavamo su, a Castel S.Elmo,a  San Martino, con quello spettacolo che poi ha fatto il giro del mondo, e la mia interpretazione ironica ed un po’ dissacrante è, in parte, mutuata dal ritratto che Ghirelli fa di Masaniello”. Abbiamo incontrato Rigillo a Positano dove, ospite del Teatro Festival dedicato ad Annibale Ruccello e diretto da Gerardo D’Andrea, ha “raccontato”, in una suggestiva mise en espace  diretta da Claudio Di Palma, il prologo del romanzo “Ferito a Morte” che il Napoli Teatro Festival ha prodotto e donato al "fratello minore" nel nome di un accordo tra i due eventi. “Il romanzo di Raffaele La Capria è stato un romanzo di formazione - dice l'attore - per una generazione che viveva gli anni del dopoguerra come “una bella giornata” che ci ha fatto dimenticare, non ci ha fatto riflettere su quanto in realtà era successo prima e stava per succedere dopo”. Non è un caso che D’Andrea, tra le produzioni del Festival, abbia scelto proprio “Ferito a morte”, poiché proprio da questo romanzo Vittorio Caprioli, tra l'altro grande amico di Rigillo, trasse il suo primo film da regista, “Leoni al sole”, che fu girato proprio a Positano i cui leoni, che troneggiano nella piazza della Spiaggia Grande, sono a pochi passi del luogo dove l’attore incontra piacevolmente i giornalisti. “Un romanzo Joyceiano - così definisce il romanzo di La Capria, che , come tutti gli amici dello scrittore, egli chiama affettuosamente Dudù – difficile da tradurre sulla scena ed è estremamente gradevole sapere di essere riusciti a trasmetterne l’essenza al pubblico”. Un’interpretazione, la sua,  che, nella versione integrale,  gli ha anche fruttato una giusta nomination alle “Maschere del Teatro” come attore protagonista,  nomination che potrebbe trasformarsi in vittoria la sera del 6 settembre, quando saranno consegnati i premi al Teatro San Carlo di Napoli, la sua città, alla quale è legato da un rapporto conflittuale,  “Mi sento un po’ un esule che torna nella sua città ogni volta che ne sente il richiamo” come nella prossima stagione che aprirà vestendo, per la prima volta nella sua carriera, i panni di Pulcinella in “' O Paparasciano” di Antonio Petito,in occasione della coda autunnale del Napoli Teatro Festival.  “Mi faceva un po’ paura interpretare la grande maschera napoletana, influenzato da una delusione avuta da bambino, quando mio padre mi aveva accompagnato a vedere Salvatore De Muto, l’ultimo grande Pulcinella, e mi aveva impressionato, dopo lo spettacolo vedere di come, il guizzante e funambolico personaggio in casacca bianca, fosse in realtà un uomo anziano e stanco”, una delusione che non ha influenzato negativamente, per fortuna, la sua scelta futura di esprimersi sulla scena, vincendo, spesso, convenzioni e luoghi comuni, come quando è stato il travestito Mariacallàs nella prima edizione di “Persone naturali e strafottenti” di Peppino Patroni Griffi, oppure l’ostricaro de “La Musica dei Ciechi” o ancora i guappi malinconici di Viviani, autore che, sempre a proposito di Napoli, gli piace citare, attraverso la poesia “Campanilismo” che ben rappresenta le gelosie e le diffidenze di una città dalla quale non si deve fuggire, ma da lontano contribuire alla sua rinascita, come è importante credere alla rinascita di una cultura teatrale che attualmente vive un momento stagnante, per chi, come lui, ha vissuto l’epoca d’oro a metà anni ’70, quella delle sperimentazione e dei grandi influssi creativi. L’elegante Mariano Rigillo ci saluta, prima di concedersi all'obiettivo del fotografo e poi ad una passeggiata con la sua compagna, l’attrice Anna Teresa Rossini, per le vie della cittadina costiera, il tutto con sobrietà e stile, arte e professionalità, una rara miscela per la contemporaneità del nostro teatro.